mercredi 16 juin 2010

Carnet de voyage_4

Alan mi ha portato sulla faglia. Un passeggiata semplice ma estremamente scenografica. Si cammina sulla scogliera. Ovunque i fiori viola del timo selvatico, assaliti dagli sciami d'api. Come è possibile che questa pianta cresca qui, in mezzo all'oceano? Alan mi mostra la grande spaccatura nella roccia, che si incunea nell'acqua, come se un gigante l'avesse staccata dall'isola e gettata nel mare. Anzi, sembra come un fulmine pietrificato, e a picco sul suo bordo, sembra di percepire che da un momento all'altro potrebbe decidere di riprendere la sua corsa e trascinarti nelle profondità buie.
Il mare ondeggia fra i suoi colori, verde e blu cobalto... anche da così in alto, la sua trasparenza persiste fino a mostrarmi gli scogli a molti metri di profondità. Riesco persino a vedere un branco di pesci argentati che compatto taglia le correnti. La sensazione è di volare fra cielo e mare. Per una volta, lontano dalle due ruote, riesco a sentire la terra così leggera sotto i piedi. La schiena mi tira, le gambe, sedendomi sulla roccia le sento dure, la pancia vuota, gli occhi pieni di tutto e anche di stanchezza. Alan mi racconta un po' delle rocce di cui sono composte le due parti della faglia, due rocce di due mondi, due epoche diverse. Alan ha l'occhio limpido come questo mare, i capelli chiari, con i suoi occhiali e l'abbigliamento da trekking un po' fra il trasandato e il vecchio stile, ha proprio tutta l'aria dell'intellettuale in esilio. Di quelli che non hanno mai bisogno di nulla, eppure sono a loro agio in ogni situazione. Non gli manca mai niente.
Questo paesaggio, solare e verdeggiante fin nel profondo del dirupo, mi fa venire in mente Almeria. Che invece è secca e giallastra. Con quei colori Sergio Leone dipingeva i suoi paesaggi western. Stavo attraversando su una strada sterrata il parco di Cabo de Gata, alla ricerca delle spiagge più belle d'europa. Non so se sono le più belle, ma quello è il tipo di paesaggio che mi conquista. Era tarda mattinata, a metà della strada c'era una fattoria, non ho mai capito se fosse o meno abbandonata. E' che noi abbiamo un problema con la frenesia, se non vediamo del continuo movimento da formicaio attorno ai luoghi in cui viviamo, ci troviamo spaesati, abbandonati, e pensiamo subito che siano luoghi « improduttivi » non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche umano. Lì accanto, le rovine di un vecchio mulino, come i mulini della Mancha di Don Chisciotte. Intorno, i boschi di Agave, le enormi foglie ritorte e gli alti tronchi che finiscono per crollare sotto il peso della preistorica altezza del loro fiore. Davanti alla casa però un paio di sparuti alberi, tutti bianchi per la polvere di gesso che continuamente si solleva. E sull'albero, confuso con il bianco, un Barbagianni, bellissimo e austero, che seguiva con l'occhio il mio arrivo. Mi sono fermato ad osservarlo, e così lui, mi osservava. Non ne avevo ancora visto uno così da vicino. Non si è mosso, non era spaventato, probabilmente era ben certo di essere lui a casa propria. Mi ha seguito con il muso. Un animale misterioso e affascinante. Raro e prezioso. Un incontro inestimabile. Sarei rimasto ore a fissarlo. Il mulino mi ha fatto tornare in mente la Mancha, Non ho mai letto il Don Chisciotte. Alan mi guarda a metà fra lo scandalizzato e l'incantato! - Mais tout de suite! Il faut que tu le lise tout de suite! Je te le prête, absolument, il faut qu'on passe chez mois, de toute façon j'en ai plusieurs éditions... j’espère ta moto va pas arrivé trop tôt parce-que j'ai hâte de discuter avec toi de ce que tu va découvrir...si tu va bien l’aimer! - Questo mi piace di Alan, mi sta parlando di uno dei capolavori della letteratura mondiale, e si augura che mi piaccia, con la semplicità di uno scrittore alle prime armi che ti sottopone il suo primo capitolo...

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